Il business dei pirati somali è oramai noto a tutto il mondo. Milioni di Euro e Dollari in riscatti per navi dirottate e sequestrate nell'Oceano Indiano, uno dei business illeciti più prolifici di tutta l'Africa e un danno notevole per l'economia mondiale.
Meno nota è la mancanza di efficacia delle missioni internazionali che dovrebbero contrastare il fenomeno "pirati", la Missione "Atalanta" implementata dalla Comunità Europea e la Missione "Ocean Shield" della NATO.
Ancora meno noto è quale sia il rapporto tra costo e risultati di queste missioni. Al momento ci sono almeno 20 navi sequestrate ancora in mano ai pirati e ancorate vicino alle coste somale.
Tra queste ci sono due navi di proprietà di armatori italiani, la "Savina Caylyn" e la "Rosalia D'Amato". Gli equipaggi delle navi italiane sono composti anche da connazionali che recentemente hanno avuto modo di comunicare con l'Italia e far conoscere la tragicità della loro situazione.
Sono praticamente prigionieri di criminali che li fanno vigilare da bambini soldato di poco più di 15 anni "fatti" di chi sa quale droga e armati fino ai denti, litigiosi e tutto tranne che affidabili, specialmente con un'arma in mano. Razioni di cibo sempre più scarse e impazienza crescente per un riscatto richiesto e che non arriva, completano il quadro della situazione in cui vivono i mostri marinai.
Questa drastica situazione ci fa fare alcune considerazioni:
La prima, purtroppo ovvia, è che nonostante le campagne, le missioni e le iniziative di ONU e UNICEF per la salvaguardia dell'infanzia e i diritti dei bambini, continuano ad esistere molti luoghi dove i bambini vengono presi e reclutati come miliziani (la Somalia è solo uno degli esempi ma avviene in molti paesi africani), senza che questo scempio venga contrastato tranne che a parole e con iniziative evidentemente insufficienti a risolvere il problema.
La seconda riguarda un paragone con la gestione di casi di rapimento precedenti che hanno coinvolto nostri connazionali.
A settembre del 2004, furono liberate le famose "due simone". Due "operatrici umanitarie" che lavoravano in Iraq contrariamente a qualsiasi regola di buonsenso dato che si trovavano in un territorio di fatto in guerra, a prestare i loro servigi umanitari come se si trovassero nella zona più tranquilla del mondo. Per le due simone, come riferito dai media all'epoca dei fatti, fu pagato un riscatto.
Bene...alla fine della storia conclusa positivamente, nonostante sia poco intelligente trovarsi in zona di guerra senza essere militari, nonostante la cifra che probabilmente ci sono costate e il rischio che sicuramente qualcuno ha corso per liberarle, si sono permesse anche di criticare il Governo italiano che le ha tirate fuori dal quel bel casino in cui si erano messe.
Nel 2007 un'altro "furbone" italiano è stato rapito, questa volta in Afghanistan. A finire vittima dei Talebani fu tale giornalista di una rinomata testata italiana.
Non si sa in base a quali necessità o in base a chi sa quale esigenza di informazione, il giornalista si trovava in Afghanistan in cerca di gloria, proprio in un momento in cui si poteva andare in qualsiasi altro luogo nel mondo ma non in Afghanistan, a meno di essere un militare inviato in missione o un pazzo scatenato.
Infatti questo reporter fu rapito dai Talebani e liberato tempo dopo grazie alla mediazione di Emergency.
Come risultato ci fu l'ennesimo riscatto pagato, almeno così dicevano i media (e così dicevano anche gli alleati contrari a compromessi economici con i talebani), lo stesso rischio necessariamente corso da qualcuno per le trattative e le operazioni di liberazione, tutto questo per uno che poteva starsene a casa senza che nessuno lo cercasse..
Considerando quanto ci sono costate le due "operatrici umanitarie contestatrici del Governo" rapite in Iraq e il "giornalista d'assalto" rapito in Afghanistan, solo per parlare di casi andati a buon fine, credo che per i nostri 5 marinai e padri di famiglia rapiti in Somalia, si potrebbe anche scendere ad un compromesso e pagare il riscatto ai pirati Somali.
Sicuramente non pagando i soldi che chiedono i rapitori, non riusciremmo comunque ad inficiare il bilancio milionario del "business della pirateria" e riusciremmo a riportare a casa i 5 lavoratori che si sono trovati i questa situazione per inderogabili esigenze di lavoro e non per qualche sfizio o idea retorica che poteva essere valutata meglio e attuata in momenti più propizi.
Non voglio dire che il lavoro umanitario o l'informazione siano cose inutili, anzi ritengo che siano fondamentali in un mondo come il nostro dove i bisognosi sono tanti e le notizie attendibili sono poche.
Intendo dire solamente che ogni iniziativa va valutata bene da tutti i punti di vista (non secondario la sicurezza) ed evitare avventure infelici o dimostrazioni di furbizia quando non è il caso.
Alla fine per salvare le due pacifiste in Iraq sono servite le armi e i soldi. Stessi strumenti che sono stati necessari per salvare il giornalista sprovveduto in Afghanistan. Oltre a qualcun'altro che ha rischiato la pelle per salvarli tutti.
Speriamo che in questo momento di crisi economica si trovino dei soldi per salvare anche i nostri marinai e padri di famiglia in Somalia ed evitare spargimenti di sangue.
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