"Qui passo gli anni, abbandonato, oscuro, senz'amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de' malevoli divengo: qui di pietà mi spoglio e di virtudi, e sprezzator degli uomini divengo..." (G. Leopardi)

lunedì 6 giugno 2011

Rivoluzioni, proteste e guerre... un fenomeno che si allarga...un mondo che esplode.

Le rivoluzioni nel mondo arabo che dal Magreb si sono allargate in tutto il Nord Africa e poi alla penisola arabica, coinvolgendo il Medio Oriente, tra Tunisia, Lybia, Egitto, Yemen, Syria, hanno il comune denominatore di combattere governi pluri-decennali retti da un dittatore. 

Sembra che finalmente o purtroppo, a seconda dei punti di vista, i popoli stiamo prendendo in mano il proprio destino a rischio della vita e cerchino di liberarsi di regimi che li affliggono da anni.

Questi movimenti rivoluzionari che nascono da un sentimento comune, condividono la loro genesi ma mostrano esiti diversi a seconda dei casi:

in Tunisia per esempio dove il dittatore Ben Ali ha lasciato il campo e se ne è andato in esilio, adesso c'è un governo che appoggiato dalla comunità internazionale prova a far rinascere uno stato di diritto, non senza sotterfugi, dal momento che il fenomeno dell'immigrazione clandestina proprio dalla Tunisia a noi costa un mare di soldi e altrettanti soldi per farlo cessare all'origine.

Anche in Egitto il dittatore Hosni Mubarak dopo un tentativo di resistenza se ne è andato in esilio portandosi dietro un mucchio di soldi. Mubarak era il terzo dittatore a governare il paese e adesso che se n'è andato chi governa è comunque l'esercito, almeno per i prossimi mesi. Questo fatto ha dato una vittoria parziale ai vari movimenti rivoluzionari dei Fratelli Musulmani, e della popolazione che è scesa in piazza. La loro vittoria si concretizzerà dopo le prossime elezioni, se mai verranno indette, per adesso la situazione si è calmata ma sta vivendo una fase transitoria.

In Yemen il dittatore Saleh, al potere da oltre 30 anni, sta sperimentando le stesse pressioni del popolo che chiede la sua abdicazione. Le proteste in Yemen stanno prendendo una piega diversa dal momento che il leader Saleh è stato ferito e al momento ricoverato a Riad per essere curato. Le notizie sulle sue condizioni di salute sono contraddittorie, per alcune fonti sarebbe ferito lievemente, mentre per altre fonti sarebbe più grave. In ogni modo al momento il potere è nelle mani del vice premier che sta cercando la via per un cessate il fuoco e sta anche negoziando con gli Stati Uniti (paese amico dell'attuale regime) un certo tipo di "collaborazione" per ristabilire l'ordine. Lo Yemen ha un interesse strategico per la politica americana nel Golfo Persico, nell'Oceano Indiano e nel Corno D'Africa.

La Syria è un altro paese evidentemente afflitto da un regime totalitario, la situazione è la stessa che altrove. Il potere è detenuto da Bashar Al-Assad, che oltre 10 anni fa lo ha "ereditato" dal padre Hafiz. 
In Syria vice lo stato di emergenza dal 1963 e Bashar non intende cambiare questo stato di cose e soprattutto intende mantenere saldo il potere assoluto nel paese. 
A differenza dello Yemen, la Syria non gode di amicizia con gli Stati Uniti, anzi è vero il contrario, inoltre il regime di Bashar è diventato progressivamente più chiuso e intollerante con tutto il mondo esterno, soprattutto quello occidentale.

La Libya è oramai un caso emblematico. Il regime pluri-decennale di Gheddafi si è trovato prevedibilmente a fronteggiare un movimento dissidente composto da tribù rivali. Nulla di diverso nei fatti rispetto agli altri paesi Nord Africani se non per alcune stranezze: 
- la Libya di Gheddafi vantava il reddito procapite più alto di tutto il Nord-Africa;
- In Libya esistono movimenti e autorità religiose cattoliche e ortodosse oltre che al solito Islam, libere di professare la loro religione e tutelate o tollerate dal regime;
- Pur essendo una dittatura, l'economia della Libya di Gheddafi era assolutamente più rivolta verso l'occidente sviluppato, con interessi di milioni di euro in tutti i paesi europei e negli USA.
Se è vero come sembra essere che la rivolta delle tribù della Cirenaica è stata organizzata ad hoc da alcuni paesi occidentali interessati al petrolio libico più che al benessere della popolazione libica, ecco spiegato il più accentuato interesse internazionale dietro alla Libya ed ecco spiegato l'intervento militare della NATO contro Gheddafi, intervento che non è avvenuto in supporto delle altre rivoluzioni.

Sulla scia di questi paesi, altre nazioni stanno vivendo la loro primavera di lotte contro i rispettivi governi.
Ci sono comunque delle sostanziali differenze:

In Albania, per esempio, il governo di Sali Berisha sta fronteggiando da mesi un movimento di protesta capeggiato dal rivale socialista Edi Rama, sindaco della capitale Tirana e principale contendente al potere.
Il movimento di protesta albanese, giusto o sbagliato che sia, scaturisce principalmente da due considerazioni:
- il rifiuto del risultato elettorale da parte dell'opposizione da una parte;
- la scarsa trasparenza di tutto il processo elettorale dall'altra.
Vale la pena ricordare che l'Albania, se pur ancora lontana, è uno stato futuro candidato a far parte della Comunità Europea e il processo elettorale in Albania viene monitorato dalla comunità internazionale anche se, per passate esperienze, possiamo dire che il monitoraggio non è garanzia di trasparenza assoluta.

In Iran, il regime sempre più autoritario e sempre più tendente al fondamentalismo religioso dell'attuale Presidente Mahmud Ahmadinejad, con il conseguente auto-isolamento dell'Iran dal resto del mondo, ha suscitato un movimento di protesta fortemente represso dal regime. 
Nonostante la mancanza di informazioni di cronaca capillarmente censurate dalle autorità iraniane, lo strumento di internet ha fatto si che le repressioni delle proteste e le vittime tra i civili venissero ugualmente alla luce. In ordine di tempo il movimento di protesta iraniano è nato addirittura prima dell'ondata rivoluzionaria scaturita dalla così detta "rivolta del pane" che ha avuto origine all'inizio del 2011.

Il movimento di protesta in Georgia è probabilmente l'ultimo in ordine di tempo ed è la così detta "rivoluzione d'argento" contro il governo filo-americano del Presidente Mikheil Saakashvili. Questo movimento di protesta ha contato 2 morti e 37 feriti durante una manifestazione alla fine del Maggio scorso. 
La Georgia è una Repubblica relativamente giovane come gli altri stati del Caucaso. Nata dalla disgregazione dell'URSS, ha a che fare con diversi movimenti separatisti interni tra cui quelli delle regioni dell'Ossetia del Sud e dell'Abcazia.
L'attuale leader filo-americano Saakashvili è giunto al potere nel 2004 con la così detta "Rivoluzione delle Rose", accentuando progressivamente un allontanamento dall'influenza russa, corteggiando e facendosi corteggiare dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali, fino a diventare un candidato ambito per l'ingresso nella NATO.
Il movimento di rivolta georgiano accusa il proprio presidente di avere instaurato un regime autoritario e repressivo e di essere responsabile del progressivo impoverimento dell'economia con conseguente aumento della disoccupazione. La protesta passa comunque in secondo piano sui mass media occidentali dal momento che la Georgia di Saakashvili è un papabile alleato per l'occidente e gli Stati Uniti, per il suo chiaro distacco dalla Russia.  

A questi movimenti di protesta o di rivoluzione, alcuni dei quali sono completamente ignorati dai mass media, vanno sommate tutte le rivolte tribali e le guerre, religiose e tra fazioni politiche, che affliggono paesi come Somalia, Sudan, Nigeria, Costa d'Avorio e la grande maggioranza delle ex colonie europee in Africa. 

Vanno poi tenuti in considerazione anche paesi dove si stenta a ristabilire la pace a causa della guerra combattuta, del terrorismo e della criminalità organizzata, come in Afghanistan, in Iraq e nella Ex Yugoslavia,

e sommanto a questi per esempio il Messico, dove i cartelli della droga combattono apertamente tra di loro o contro il governo, provocando svariate decine di morti l'anno e creando una situazione di estrema insicurezza anche per le frontiere dei vicini Stati Uniti.

Troppo si potrebbe aggiungere per descrivere ancora meglio le situazioni elencate e troppe situazioni simili potrebbero aggiungersi all'elenco, ma già con così poco possiamo facilmente capire che... tutti noi viviamo in un mondo che silenziosamente esplode... senza che ne rendiamo conto
Max

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